L’incipit di Anna Karenina e le famiglie disastrate

Verso la fine del film ‘Scusate se esisto’, con Paola Cortellesi e Raul Bova, il compagno gay del personaggio di Bova, ammiccando verso la telecamera, se ne esce con questa battuta:

“Tutte le famiglie felici si assomigliano, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”.

Il significato, dato il contesto, è chiaro: le famiglie felici si assomigliano e quindi sono noiose, prive di originalità; quelle infelici invece sono varie, quindi più interessanti.

Il che può andar bene per una commedia: la rappresentazione di una famiglia in cui tutto scorre per il meglio sarebbe davvero noiosa, non ci sarebbe nessuna trama, nessun colpo di scena, nessun equivoco che possa portare a situazioni ridicole.

L’attore parla a nome del registra e con compiacimento dice al pubblico:

”avete visto che famiglia divertente ho rappresentato?”

Poiché il personaggio del film si rivolge allo spettatore, il suo messaggio è chiaramente ad un livello diverso da quello della commedia: è un livello meta (1), giacché è l’attore che parla della commedia e non il personaggio che agisce in essa.

La frase è dunque universalmente accettabile e condivisibile sostituendo a “famiglia” il termine “rappresentazione della famiglia”. Purtroppo non è così che viene inteso, in quest’epoca che confonde la realtà con la sua rappresentazione.

Anna Karenina e le famiglie disastrate

La frase è nientemeno che l’incipit del celeberrimo romanzo Anna Karenina di Leone Tolstoj che lessi a circa vent’anni d’età, dopo aver visto in tv lo sceneggiato Rai con Lea Massari. Non feci assolutamente caso all’incipit, che tanta importanza adesso sembra avere per altri, dato che viene citato, oltreché nel film, anche in numerosi articoli sul web.

Nel tomo di oltre cinquecento pagine, trovai la descrizione dell’alta società russa del tempo, le insoddisfazioni di una donna mal maritata e l’infelicità di un’altra, maritata peggio. Le descrizioni di queste infelicità non mi parvero né eccezionali, né originali, semmai interessanti e non ne attribuii la causa al ceto sociale, quanto piuttosto alla mentalità maschilista.

Ogni ceto sociale ha il suo modo di abbrutirsi, come mi aveva già insegnato Dostoevskij: tutti, ricchi e poveri, hanno il loro grado di depravazione, perché:

“l’uomo è sempre tra il cielo e l’abisso”.

Ma la vocazione dell’essere umano è quella che esprime padre Dante:

fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.

Adesso scopro che l’incipit di un romanzo famoso, forse più per le trasposizioni cinematografiche che per il suo valore letterario (non ho visto la versione con Greta Garbo ma l’aura che quest’attrice aveva poteva valorizzare qualunque personaggio), viene usato per esprimere un’intera visione del mondo e addirittura ha dato il nome ad un principio statistico.

La frase in questione sembra suggerire la visione del mondo che i mass media ci propinano da almeno cent’anni: le persone comuni, che seguono le regole del quieto vivere, del rispetto, che non sono dedite agli eccessi, non sono interessanti, sono noiose e sicuramente ipocrite, perché non è possibile che non provino passioni, che sono il sale della vita.

Solo le passioni e gli eccessi sono interessanti e chi non le prova o le controlla o è noioso o è stupido, asservito bovinamente al potere religioso, aggiogato al carro delle convenzioni sociali, privo di originalità e personalità.

In quest’ottica tutti i santi e gli asceti di ogni epoca e credenza religiosa sono degli imbecilli che non si sono goduti la vita; parimenti gli studiosi che si sono dedicati a cercare la conoscenza.

Solo chi asseconda le proprie passioni ed ottiene ciò che vuole è degno di essere ricordato e celebrato… da chi? Dai mass media, che traggono profitto da chi si interessa alla loro spettacolarizzazione della realtà.

E chi possiede i mass media? Una ricca élite.

E che scopo ha questa élite?

Arricchirsi sempre di più ed avere sempre più potere sulle masse.

Tolstoj era uno scrittore e doveva produrre un qualcosa che potesse interessare il lettore e, di conseguenza, portargli un guadagno. Avrà sicuramente voluto muovere una critica all’alta borghesia russa del suo tempo, come taluni dicono, ma la scelta dei personaggi facoltosi dipende dal fatto che il lettore medio preferisce la descrizione della ricchezza piuttosto che quella della povertà.

(1) Meta è parola greca che significa “dopo”, “oltre”. In linguistica un meta-linguaggio è un linguaggio le cui sentenze parlano di un altro linguaggio. Un livello meta è quindi un livello superiore ad uno dato; un livello dal quale si può parlare di quello sottostante.

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